sabato 7 settembre 2019

INFINITO LIMITATO

INFINITO LIMITATO

di Besa Mone(Racconto pubblicato nel libro Lingua madre 2008,  Seb27 editore)
- È contraddittorio, non è possibile che esista una cosa simile.
- Chi ha detto che le cose contraddittorie non possano coesistere?
- …
- Mi dispiace che tu non accetti il fatto che un fenomeno possa essere infinito e nello stesso tempo limitato.
- Proprio così.
- Sì è vero, è proprio così, in una situazione ideale. In una situazione reale invece, accade che le cose contraddittorie coesistano.
Il dialogo va avanti per un po’ di tempo. Lei tira fuori anche il confronto con i numeri reali, perché riesce ad esprimere e spiegare meglio un concetto che ha in testa.
………………..
Storia numero uno: Continente Europa; Paese Albania; Secolo XX; anno 1977. Lei finisce le superiori con la media del 10 su 10. Sogna di studiare medicina come suo padre. Nella domanda per avere il diritto di studiare all’università (non tutti avevano diritto) su tre scelte scrive tre volte medicina. Per aver diritto allo studio però, non erano validi né la passione, né i sogni, né la media alta degli studi. Spettava al Segretario del Partito Comunista con il suo gruppo di comunisti decidere per ciascuno se e cosa doveva studiare. Per lei non era facile, perché nessuno dei genitori era membro del Partito. Per di più quell’anno il Partito aveva emanato un altro criterio: dare precedenza ai giovani che non avevano i genitori e fratelli laureati. Così a lei non spettava di andare all’università. Chi era a conoscenza di questa ragione comprovava il fatto che lei non potesse andare all’università, ma per gli altri questo voleva dire che sicuramente c’era “un nemico del proletariato” nel suo albero genealogico. Le conseguenze erano gravi: niente lavoro, niente marito. Dopo tante storie di proteste, il Partito “generoso” le ha dato il diritto di studiare scienze della terra. A lei però, se dovesse essere scienze, le sarebbe piaciuto studiare matematica. Per fortuna si è trovata d’accordo con un altro studente che non voleva studiare la matematica. Il destino ha voluto realizzare il suo sogno della prima gioventù: diventare insegnante come la sua professoressa. Le era piaciuta molto e aveva cercato sempre di imitarla in ogni suo atto, in ogni suo modo di essere. La professoressa aveva più di quarant’anni e il suo modo di comunicare con gli studenti era particolare: li stimolava molto e nel momento giusto sapeva come rimproverare le cose che non andavano bene. Questo lo faceva rivolgendosi sempre alla terza persona. Così ognuno conosceva i propri  errori senza ammettere che era lui o lei ad aver sbagliato. Era bravissima a spiegare la sua materia, ma era bravissima anche a creare un bel rapporto con le studentesse. Le faceva sentire importanti e capaci di andare avanti non necessariamente con l’appoggio della figura maschile. Nella vita dovevano essere loro a scegliere e non a essere scelte. Mira adorava la sua professoressa e da grande voleva diventare come lei. Anche il suo grembiule bianco le piaceva molto. Aveva i bottoni non al centro, ma al lato sinistro e aveva solo una tasca dalla quale ogni tanto prendeva il fazzolettino bianco con le bordure di merletto. Avrebbe voluto avere anche i capelli come lei. Sempre in ordine, con una brillantezza naturale. Le unghie erano sempre lunghe, ben curate con lo smalto trasparente. La sua statura media si limitava nei suoi estremi con le scarpe di tacchi medi sempre neri e con capelli neri. Tra questi due punti di inizio e fine non si faceva vedere mai, più di un altro colore. Così nel suo insieme la professoressa appariva con un solo colore (tutta in nero), oppure, al massimo con due colori. Si notava nel suo look un’immagine adorabile delle donne dell’ovest che si guardavano di nascosto al canale televisivo della RAI. Aveva un bel viso e tutti erano molto curiosi di conoscere chi fosse il fortunato che le aveva rubato il cuore. Non c’era nessuno. Si diceva che aveva un fratello immigrato in Germania. Questo fatto le creava tante difficoltà nel lavoro. Prima di tutto non doveva comunicare con lui (e non lo faceva) e poi ogni volta che c’erano dei trasferimenti del corpo docente, lei doveva correre da qualche amico, membro del partito, per far diventare lui garante della sua purezza politica. “Mio fratello sta bene lì, a me però, il fatto che lui è andato via dal nostro paese, sta creando tanti problemi” diceva amareggiata senza guardare negli occhi. Mira aveva capito il modo di ragionare della professoressa: le relazioni tra le persone in una società, sono come le equazioni. Bisogna fare sempre delle trasformazioni equivalenti (tipo portare un termine da sinistra a destra o viceversa, moltiplicare per lo stesso valore ecc.) finché si arriva ad identificare l’incognito, cioè conoscere la persona. Per il fatto che non le avevano dato il diritto di poter studiare medicina, la professoressa le aveva fatto capire che, in un paese democratico, questi problemi non esistono. Tutti questi ricordi le sono ritornati adesso in mente, nel momento in cui sua figlia si trova davanti a una scelta. Come lei, anche sua figlia Anila adora la sua professoressa. È un bene o un male?
Storia numero due: Continente: Europa. Paese: Italia. Secolo: XXI. Anno: 2006. Lei sta per finire la terza della secondaria di primo grado con ottimo in tutte le materie. Diversamente dalla sua mamma, si ritiene fortunata perché vive in un Paese da mezzo secolo democratico. Sogna di diventare insegnante come la sua professoressa di lettere. La vede come un punto d’arrivo. Quando si mette a parlare di un’opera letteraria, ti fa sentire come se ti trovassi in una galleria d’arte, perché descrive i valori letterari come se avesse davanti un quadro. Ma non è solo questo che la rende simpatica e attraente. Anila ricorda il primo giorno, quando la professoressa, leggendo il suo nome, le chiese da dove venisse. Poi ha aggiunto che la sua presenza in classe era per lei come un test su quanto lei conoscesse della sua cultura, che cosa sapesse sull’Albania. La professoressa porta in classe tutte le novità sul campo letterario. Così ha fatto conoscere ai ragazzi il vincitore del premio Nobel Orhan Pamuk e del Man Booker International Prize Ismail Kadare. Quest’ultimo è uno scrittore albanese di cui conosceva alcune opere pubblicate in italiano. L’ora della letteratura non è solo conoscere gli scrittori e le loro opere. La professoressa, chiedendo a loro di raccontarsi, li aiuta a conoscere se stessi. Anila crede che se qualcuno è in grado di accettare i propri pregi e i propri difetti, allora è in grado di conoscere in modo obiettivo anche l’altro con i suoi pregi e difetti. Anche la professoressa la pensava allo stesso modo. Anila vorrebbe diventare come lei. Avere la sua forza e il suo coraggio per affrontare gli argomenti. Il modo di ragionare dal punto di vista “relativo”, che la professoressa predicava e sperimentava sempre, le sembrava la cosa più giusta. La professoressa sosteneva che ogni cultura (sia questa letteraria, grafica, musicale, ecc.), di ogni nazione, ha i propri pregi che possono essere anche diversi, ma sono sempre pregi. La raccolta di questi pregi rappresenta il tesoro del nostro mondo. Nelle discussioni in classe sull’integrazione degli stranieri nella società, Anila sosteneva sempre la tesi secondo la quale per un inserimento sempre più dignitoso, uno straniero cerca di raggiungere il massimo dell’istruzione. «Le scuole superiori si avvicinano e tra poco dovrò decidere uno dei tanti percorsi importanti della mia vita. Per me, che sono una straniera, non si tratta solo di "scegliere perché mi piace". Se scegliessi la strada per diventare insegnante (come vorrei), la mia «validità di lavoro» non avrebbe riconoscimento. Ecco perché, oltre ad altri motivi, questa decisione mi risulta più difficile rispetto agli altri studenti. Per legge gli stranieri hanno il diritto all’istruzione come gli studenti italiani, ma questo diritto non va oltre. Sempre secondo la legge, uno straniero non può lavorare come insegnante, perché non può fare alcun lavoro che si ottenga aderendo ad un concorso pubblico. La legge non permette agli stranieri di partecipare al concorso”. Scrive così Anila in un compito in classe.
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- Vorrei spiegartelo meglio - continua Mira la discussione con la sua amica. - Possiamo fare riferimento alla funzione dell’inserimento sociale dello straniero: Y = b a/x, dove la x rappresenta la crescita dei valori dell’istruzione scolastica, la “a”: l’indice di non inserimento dello straniero, la “b”: la legge che non permette allo straniero di partecipare ai concorsi pubblici; il rapporto a/x con la crescita dei valori della x, dà dei valori molto piccoli, praticamente vicini allo zero, cioè più istruito, più piccolo diventa l’indice di non inserimento, più la differenza (b a/x) si avvicina alla retta b (perché le viene sottratto un valore molto piccolo, vicino allo zero). Tale retta in matematica si chiama asintoto orizzontale al quale il grafico si avvicina molto ma non lo oltrepassa. Il grafico evidenzia la crescita dell’inserimento che tenta sempre di più di salire, ma rimane inclinato per colpa della legge. La crescita dell’istruzione può andare all’infinito (la x), l’inserimento invece continua a crescere, ma rimane sempre limitato dalla legge. Inserimento sì, ma fino al livello “b”.

La variabile x:Istruzione infinita, La funzione y: inserimento limitato


- Ho capito perché continuavi a dire “infinito limitato”.
- Io sono contenta che mia figlia voglia bene alla sua professoressa e che voglia diventare come lei, ma avrei preferito che questa cosa non avvenisse, perché lei rimarrà delusa.
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E sul diario Anila annota: «Mi sembra che la legge mi sussurri nelle orecchie: Finché vuoi istruirti nella scuola italiana sei libera di farlo (per la primaria e la secondaria non serve neanche il permesso di soggiorno), istruire gli altri non te lo permetto.» Amareggiata aggiunge: «A mia madre è stato tolto il diritto di scegliere perché viveva in un sistema totalitario; a me è negato, perché vivo in un sistema democratico? Ma allora quale sarebbe il sistema dove certi diritti non vengono negati?»
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- Già…qual è?



mercoledì 6 marzo 2019

venerdì 8 giugno 2018

Equa Azione



Equa azione

Abbiamo realizzato tanti progetti di integrazione degli stranieri. Facevo la mediatrice linguistico culturale e, spesso, alcune situazioni mi facevano riflettere e valutare nello stesso momento il potere della matematica e la sua capacità di conferire pari dignità. La chiave per la comunicazione è la lingua madre. Bene fin quando tutti conoscono la stessa lingua. Nel momento in cui ci si trova in un ambiente dove la capacità linguistica di comunicare manca, si cerca di farlo con dei simboli o segni, ma anche questi non hanno lo stesso significato per tutti.
Una volta, una bambina albanese della seconda elementare alla quale cercavo di insegnare le doppie consonanti, alla domanda  «Con quante “m”  si scrive la parola mamma, mi risponde «Con tre». La risposta attesa ovviamente non era quella, ma  lei aveva utilizzato un'altra conoscenza, quella matematica.
Durante la compilazione di alcuni moduli di accoglienza, alla domanda «Quanti anni avevi quando sei arrivato in Italia?», una ragazza del Marocco, che frequentava la terza media, rispose:«-2». Nella sua lingua, intendeva dire che i suoi genitori erano arrivati in Italia due anni prima che lei nascesse. Con la risposta «-2» ci ha comunicato lo stesso messaggio anche in italiano.
Racconto in classe queste storie. Sottolineo il fatto che la ragazza della terza media non conosceva la lingua italiana. Ha usato il linguaggio matematico per trasmetterci il suo pensiero. Tramite questo linguaggio abbiamo interpretato in italiano quello che voleva dirci. In altre parole abbiamo risolto il quesito, l’equazione.
Propongo agli studenti di fare la stessa cosa con l’equazione,  l’argomento di oggi.   
La situazione diventa interessante. Ognuno cerca di dare il suo contributo, avvalendosi delle definizioni.
Dopo qualche esercizio con il simbolo di appartenenza di un elemento ad un insieme, alla scrittura:                                                                                     
 x Î N,  N = {0,1,2,3,4,5,6,7,…….},  solo uno degli studenti, Giulio, contesta che la scrittura non si può considerare corretta. Altri hanno interpretato che x appartiene all’insieme dei numeri naturali (già abituati a leggerlo così). Giulio insiste dicendo che in N sono elencati tutti i numeri naturali, ma non vede nessuna lettera x. Non ha tutti i torti.  Propongo di migliorare la definizione dell’appartenenza, o di precisare la lettura: «La x varia in N» oppure «La x assume valori naturali». Dopo questa riflessione, gli altri condividono la precisazione. Noto che i ragazzi sono molto presi dall’argomento e ognuno vuole essere protagonista. Ne approfitto della situazione e chiedo se le scritture sottostanti le posso chiamare uguaglianze:
(a)   2+3=3+4;        (b) 8 – 3=2+3;         (c) a +2 = a;         (d) 2x = 6 
Perplessità. Andi ritiene che esclusa la (a), le atre sono uguaglianze. Giulio non si sbilancia. Alcuni sono d’accordo con Andi. Per non influenzarli con il mio silenzio, chiedo se ci sono altri pareri. Angela suggerisce che anche la (c) non è un’uguaglianza. Altri studenti la pensano come lei.
Sviluppo la (a) e scrivo 5 = 7.  «Se non la posso chiamare uguaglianza, che nome posso darle? » Rispondono quasi tutti in coro: «Uguaglianza falsa». Se c’è il simbolo “ = ” rimane sempre un’uguaglianza. Calcolando i suoi membri, siamo in grado di dire se è un’uguaglianza vera o un’uguaglianza falsa. Quando non possiamo farlo, quell’uguaglianza si chiama equazione. La (c) e la (d) sono equazioni. La variabile x può assumere diversi valori in N, in Z, ecc.
x Î N,  N = {0,1,2,3,4,5,6,7,…….} . Se nell’equazione (d) 2x = 6,   x assume il valore 0, abbiamo
2∙0 = 6, Þ 0 = 6,  uguaglianza falsa.       
Risulta così anche per i valori 1, 2, 4, 5, … Per il valore 3 abbiamo
2∙3 = 6, Þ  6 = 6, uguaglianza vera.
Il numero 3 che ha verificato l’uguaglianza (trasformandola da letterale in un’uguaglianza vera numerica) si chiama soluzione dell’equazione. L’insieme delle soluzioni è: S = {3}.  Riassumendo, l’equazione a prescindere è un’uguaglianza. Le sue soluzioni, certi valori numerici che la verificano.
Risolvere un’equazione è come cercare di conoscere una persona. Quando la vedi per la prima volta, l’apparenza può anche ingannare, poi pian piano riesci ad inquadrarla. Quando operiamo con un’equazione, all’inizio può sembrare difficile. Cerchiamo di ordinarla e definire il suo grado, dopo di che scegliamo il metodo rispettivo per risolverla. L’equazione di primo grado la risolviamo, in poche parole, applicando le operazioni inverse per raggiungere l’incognita. Per conoscere l’altro (la persona dietro la x, oppure delle sue caratteristiche) si comincia a trasportare i termini noti (nome, cognome, età) al secondo membro dell’uguaglianza fin quando si arriva alla vera incognita (non sempre ci si riesce L ). Le soluzioni di un’equazione, in fin dei conti, rappresentano un coinvolgimento complicato dei coefficienti. Sono quest’ultimi che a volte, a prima vista, ci fanno capire se le soluzioni esistono e quali sono. È come quando vedi una persona vestita con la divisa e capisci subito che lavoro fa.
Sempre tramite le operazioni inverse si immagina che per risolvere l’equazione di secondo grado, tra l’altro, bisogna eseguire anche la radice quadrata.  Otteniamo valori razionali, irrazionali o immaginari. È comodo quando la radice ci da valori interi. Di conseguenza le soluzioni sono intere o razionali. I numeri interi  sono come le persone gentili. Con loro si opera facilmente. Non di meno quelle razionali. Per “conoscere queste persone a prima vista” (soluzioni dell’equazione di secondo grado), do la regola per risolvere a "Colpo d'occhio_1":  
In un’equazione di secondo grado ax2 + bx + c = 0,  se | a+c | = | b | , allora il discriminante ∆, è un quadrato perfetto.
Le soluzioni sono:
A)     x1 = -1, x2 = - c/a, se a + c = b         B)x1 = 1, x2 =  c/a   se a + c = - b        
Compito a casa: dimostrare che ∆ = (a-c)2
A parte il valore 1 che in genere rappresenta la neutralità, con l’altra soluzione, c/a, la persona si presenta con una frazione o detto diversamente, una persona razionale. «Un uomo è come una frazione il cui numeratore è quello che è, e il cui denominatore quello che pensa di sé. Più grande è il denominatore, minore la frazione. » diceva Lev Tolstoj.
Il coefficiente a quindi, per l’equazione di primo e secondo grado, ha un particolare ruolo.
«Applicando la regola di "colpo d'occhio_1", che cosa avviene con coefficienti b, c interi e  =1? »  Due secondi di calcoli e Fatima con il sorriso risponde « Le soluzioni sono persone gentili. J» Ilarità in aula. 
Proviamo a dare velocemente le soluzioni dell’equazione 12x2 – 17x + 5 = 0, applicando la regola di "colopo d'occhio_1". Si nota che a + c = - b, le soluzioni sono: 1 e 5/12Proviamo che ∆ è un quadrato perfetto. ∆ = b2 – 4ac; ∆ = (-17)2 – 4∙12 ∙5 = 289 – 240 = 49 = 72 ✔, quadrato perfettoLe soluzioni  x1= (17 – Ö49) / (2∙12) = 5/12   x2 = (17 + Ö49) / (2∙12) = 1.    
 S = {5/12; 1}.     Apro il testo di matematica sulla LIM e invito gli studenti  ad individuare quali equazioni soddisfano la nostra regola. I ragazzi si divertono nel calcolare a memoria le soluzioni confrontandole con le risposte del libro.
 Matteo osserva che le risposte degli esercizi del testo sulla lavagna interattiva sono scritte diversamente da quelle del suo libro. Forse il suo testo è di una vecchia edizione. A prescindere da questo, chiedo a Matteo di dare una sua spiegazione. Silenzio in classe. Ricordiamoci che oggi dobbiamo ragionare con le conoscenze matematiche avvalendoci delle definizioni. Matteo nota che le soluzioni delle equazioni, che tra l’altro sono corrette, nel testo che appare sulla LIM, sono scritte semplicemente come valori numerici. Sul suo testo no. «Che cosa sono b = -3, x = -1?» Matteo risponde a voce bassa che sono soluzioni. Dimmi la definizione delle soluzioni. «Insieme di valori numerici che verificano l’equazione. »«Le scritture di sopra rappresentano insiemi? ». Matteo a voce piena dice che sono uguaglianze, anzi equazioni. Le soluzioni di un equazione non possono essere altre equazioni. Noto un atteggiamento di maggiore consapevolezza  da parte sua.
Messi i punti sulle i, torniamo all’applicazione della nuova regola. Le soluzioni pronte, senza calcoli dei discriminanti ai quali purtroppo non si può sfuggire sempre.   
Parlando di equazioni di grado superiore al secondo, sicuramente il primo che ci aiuta è Ruffini. Basta trovare gli zeri dell’equazione e abbassare il grado scomponendola in fattori di primo o secondo grado. Quest’ultimi oramai li sappiamo risolvere J.  
Data l’equazione: 2x3 + 3x2 - 2 x - 3 = 0      Trovare le soluzioni.  
Fatima coglie l’occasione. Prova a trovare quale dei divisori {±1;  ±3/2} del termine  c/a è lo zero dell’equazione. P(1) = 2∙13 + 3∙12 - 2∙1 - 3 = 0 Intervengo chiedendole che cosa sa sulle proprietà del numero 1. «A parte di essere l’elemento neutro della moltiplicazione, ogni sua potenza vale uno». Di conseguenza ogni termine risulta prodotto del numero 1 con il coefficiente. A questo punto per calcolare velocemente P(1), basta sommare i coefficienti delle potenze della x.       P(1) = 2 + 3 - 2 - 3 = 0. Con la regola di Ruffini Fatima scompone in fattori  (x-1)(2x2 + 5x + 3) = 0.  Risolve      2x2 + 5x + 3 = 0  notando  che a + c = b,  2 + 3= 5. Secondo la nuova regola di !colpo d'occhio",   le soluzioni sono:       x1 = - 1, x2 = -c/a. Scrive le soluzioni dell’equazione S = { - 1; +1; -3/2}. 
Facile, veloce e anche divertente.
Arriva il momento di proporre la seconda regola di oggi.
Come dicevamo prima, le soluzioni dell’equazione dipendono dai propri coefficienti. Sono quelli che a volte (come abbiamo già visto per l’equazione di secondo grado) ci dicono a prima vista se le soluzioni esistono e quali sono. La regola "Colpo d'occhio_2":
In un equazione di terzo grado   x3 + bx2 + c x + d = 0 *  se   d = b∙c,  allora le soluzioni dell’equazione sono: x1 = -b;   x2 = -Ö -c;   x3 = Ö -c.
Dimostrazione in classe.  Suggerimento: al posto del coefficiente d scrivere il suo equivalente bc:
x3 + bx2 + c x + bc = 0
Chiedo a Matteo di fare la dimostrazione alla lavagna. Opera facendo la raccolta parziale seguita da quella totale:  x2(x + b) + c(x + b) = 0 Þ (x2 + c) (x + b) = 0   infine la legge di annullamento:     x2 + c = 0;      x + b = 0                      S = {-b; -Ö-c; Ö-c  }

*Se a  ¹1 si può sempre dividere i membri dell’equazione per a.

Possiamo  costruire un’equazione di terzo grado,  con coefficienti b e c di qualsiasi valore reale e con coefficiente d il loro prodotto. Così facendo le sue radici si possono conoscere immediatamente.
Es:  scegliere b = 23, c = -9,  di conseguenza  d =  -207.  L’equazione è:  
x3 + 23x2 - 9x - 207 = 0   e le soluzioni x1 = - 23;  x2 = - Ö9 = -3; x3 = Ö9 = 3.  S = {- 23; -3; 3}
Le regole che abbiamo visto "Colpo d'occhio_1 e _2" ci aiutano a risolvere una certa categoria delle equazioni ovvero quelle con coefficienti tali da soddisfare le regole. Conoscendo i coefficienti possiamo dire se l’equazione è definita in R. In questo caso, le soluzioni possono essere intere, razionali o irrazionali.
Chiedo ai ragazzi di provare a descrivere tali soluzioni (numero decimale finito, decimale periodico, decimale infinito non periodico)  come caratteristiche delle persone.
Le risposte oltre ad essere appropriate, sono anche molto divertenti. Le categorizzano come persone razionali, che vanno subito al dunque; ripetitive, che dicono sempre la stessa cosa e gli ultimi come persone proprio irrazionali, con ragionamenti che non hanno nè testa, nè coda.  
Segno i compiti a casa: risolvere le equazioni applicando, se è possibile, le nuove regole.  
Mi complimento con gli studenti dicendoli che ogni equazione definita in questa classe ha delle soluzioni intere o razionali. Giulio alza la mano e aggiunge: «Grazie professoressa, vuol dire che i coefficienti sono quelli giusti. J»
Di solito usiamo la lingua madre per leggere la matematica. Oggi abbiamo usato la lingua matematica per leggere in italiano. È stata una equa azione.
Besa  Nuhi